Storia del manifesto

Questa ricerca contribuisce a superare il modello carismatico trasformazionale (Bass, 1985, 1998) che ha dominato negli ultimi venti anni la letteratura e le pratiche di sviluppo organizzativo.

Il modello trasformazionale è nato a metà degli anni ’80 in un momento di grandi trasformazioni globali, nel segno della necessità di mobilitare le risorse organizzative, favorire il cambiamento e l’innovazione.
In quella logica è emersa la necessità di una leadership nuova in grado di favorire la trasformazione, il cambiamento sia individuale che organizzativo.

Visione, ispirazione, atteggiamento positivo, approccio individuale, apprendimento sono le sue caratteristiche fondamentali.
Questa concezione, non priva di fascino, evidentemente mette in primo piano la funzione simbolica di un leader che governa interamente il processo di trasformazione svolgendo la funzione di rappresentare il cambiamento, essendone il garante, il promotore o lo sponsor.

Si tratta di un aspetto indubbiamente rassicurante e positivo per i collaboratori che non solo nelle fasi di cambiamento, ma a maggior ragione in esse, hanno bisogno di difendersi dall’ansia depressiva.

La letteratura ha sollevato molti dubbi sulla validità e la trasferibilità della leadership trasformazionale/carismatica, essendo un modello che è nato in un contesto molto connotato. Ad esempio è interessante osservare che nel modello trasformazionale vi sono dei valori e delle concezioni caratteristiche di senior e top management di realtà multinazionali americane: bianchi, maschi e in gran parte di età matura. Probabilmente questi rispettabili individui sono portatori di valori diversi di altri capi di successo che molti di noi hanno conosciuto nella propria vita.

Nell’età della Rete ci si è accorti che la realtà, specie quella globalizzata e ad alta turbolenza, in cui operiamo, non è a lungo comprimibile nella visione ispirata di un uomo solo. Perciò i carismatici soffrono del male del tempo: il loro tempo si è contratto e il loro ciclo di vita è molto più breve. Il leader carismatico dell’organizzazione, il faro, la guida, mal sopporta di non essere più il generatore del successo organizzativo, dopo una breve stagione di potere, giungendo a sperimentare presto l’incapacità di mettere ordine nella confusione e difendendo i collaboratori dall’ansia di sopravvivere.

La strada da intraprendere forse deve mettere in discussione l’idea di un leader sopra tutti gli altri. Piuttosto sono da ricercare leader che si collocano di fianco delle persone e sono in grado di facilitare, supportare, catalizzare risorse ed energie, presenti nel sistema.

Servono dunque nuovi leader nel mondo che andiamo costruendo. Servono donne e uomini capaci di attivare nuove visioni, nella direzione dell’apertura, della condivisione, della facilitazione, dell’intelligenza collettiva.

Servono leader ai livelli più operativi che coordinano il lavoro dei collaboratori facilitando l’emergere dei talenti, quotidianamente ricostruendo il senso di ciò che accade e lavorando per il benessere delle loro persone. Serve una capacità diffusa di affrontare i conflitti, negoziare, ma al tempo stesso imparare instancabilmente dai collaboratori ed insegnare loro. Servono leader che pensano alla loro organizzazione come a un sistema sociale, in cui le relazioni sono un capitale non solo da accumulare, ma da reinvestire, attraverso la fiducia e la reputazione. Servono imprese e leader che sanno dare un limite.

Sanno dare un limite alla spinta narcisistica e onnipotente al fare sempre di più con le risorse che si hanno, spingendole al massimo come nemmeno nel più triviale taylorismo.
Leader che sanno appellarsi ai desideri dei collaboratori, ma restituiscono loro spazi di potere di auto determinazione e di libertà. Un sistema è responsabile se rende equo lo scambio tra lavoro e libertà.
Questa leadership viene descritta nell’Open Leadership Manifesto.

Si tratta di una rappresentazione che compone in modo articolato molti principi che appartengono alla stagione successiva alla
leadership trasformazionale, ovvero la post-heroic leadership. L’Authentic Leadership, la Engaging Leadership e la Distributed Leadership rappresentano prospettive ormai consolidate e che abbiamo in qualche modo ripreso nella Open Leadership.

Un riferimento necessario sono anche gli studi svolti dal 2008 ad oggi con il progetto LeaderlessOrg in Ariele, così come abbiamo cercato una convergenza dei tre temi citati anche con la leadership emergente nel Lean Thinking e nell’Agile software development. Sono nuove prospettive che mettono al centro i follower.

Anzi non ha più senso definirli tali, quando si chiede loro di assumersi delle responsabilità per risolvere i problemi, soddisfare i clienti, inventare nuovi processi o prodotti. Insomma si chiede loro di essere leader!
In definitiva questa leadership favorisce l’autenticità della persona nell’assunzione della sua responsabilità.
Il nuovo leader sarà Open: non primo fra tutti, ma al fianco di tutti quelli che possono primeggiare.